LAND ART di Nera D'Auto

TERRA, ARIA, FUOCO E ACQUA NELLA LAND ART DI NERA

Testo critico di Gerardo Pecci

Nera d’Auto: non solo un nome, ma una donna dalla forte personalità, il cui vulcanismo creativo spesso si pone in deciso contrasto con il mondo e con i “canoni” della nostra società falsa e corrotta, sprecona e infima, dove solo il denaro sembra essere il motore che la fa faticosamente e vorticosamente muovere, senza guardare alla vita e all’arte, che della vita ne è pur sempre lo specchio più vero, anche se a volte appannato dal velo della falsa moralità che tarpa le ali alla fantasia, alla poesia, all’amore, all’eros. Nera ama la propria terra, si batte per il suo riscatto, si batte per la sua conservazione e valorizzazione culturale, sociale ed economica. E lo fa attraverso i mezzi che possiede e padroneggia in maniera impeccabile: con i suoi dipinti, con le sue tele, con le sue “provocazioni artistiche”, con i suoi dubbi e con la sua femminilità. Se è vero che la Land Art nasce negli Stati Uniti d’America negli anni ’60 e ’70 – il termine fu coniato nel 1969 da Gerry Shum – come una costola dell’arte concettuale, è pur vero che Nera promuove una propria  Land Art,  a dimensione  anche onirica e romantica insieme, che ben si fonde con la natura, con le piante,  ossia con gli alberi, con le foglie, con il profilo dei monti e l’azzurro del cielo e del mare. Così i suoi pannelli dorati con i tagli netti e taglienti della tela non sono più soltanto lacerazioni della materia-spazio, ma diventano pura energia creativa; essi sono la dimostrazione visibile, tangibile, vera, concreta e reale, di una concettualità plastico-spaziale e coloristico-pittorica che partendo dalla tradizione la superano, per proporre una dimensione “altra” del mondo, della vita e delle sue contraddizioni, dell’arte, dello spazio non più euclideo, ma ideale e reale insieme. Questo senso dell’arte e dello spazio, del tempo che scorre, dell’eternità, non può trovare paragoni, ad esempio, con l’arte di Fontana o con la spazialità plastica di Burri, perché diverse e nuove sono le premesse di una poetica autonoma e originale quale è quella che ci propone Nera. Qui è l’arte che si fonde e confonde nello spazio della natura e lascia trasparire quello che vi è dietro e dentro il paesaggio, dentro e dietro le piante. E’ un sottile gioco: ironico, ludico e serioso, tragico e drammatico, che filtra tra lo spazio del paesaggio e lo spazio di tele e tagli e buchi che respirano l’aria del tempo e delle cose, l’atmosfera della vita. Pertanto le sue istallazioni sono il segno tangibile di un’arte che respira l’eternità della vita e del mondo, sono immerse in un paesaggio che merita rispetto e attenzione, che va capito a fondo e amato. Nelle sue opere vi è la sinfonia della natura, i suoi tagli nella tela, le sue lacerazioni sono anche valvole di sfogo dei suoni e dei colori della natura e idealmente richiamano l’eco delle parole del Cantico delle Creature di San Francesco. Ma qui le parole non sono umane, ci sono offerte dallo stormire delle fronde, dal sibilo del vento, dal canto egli uccelli, dai passi degli animali che vivono gli spazi e i tempi e i luoghi del paesaggio, della roccia viva e dei colori delle foglie e della scorza degli alberi. Vi è anche il ricordo letterario del panismo dannunziano, della fusione simbiotica tra l’essere e il divenire. Terra, Aria, Fuoco e Acqua sono i sicuri elementi primordiali, ancestrali, a cui Nera fa riferimento e lo fa in maniera discreta, delicata come le carezze di una tenera amante, valorizzando attraverso i “fori” delle tele quello che vi è dietro, ossia lo spirito, l’essenza del  paesaggio naturale, seminascosto dai pannelli, accarezzando con lo sguardo frammenti di un universo che si porge in tutta la sua stupefacente grandezza. Il senso della Land Art di Nera va a ricostruirsi in un puzzle che vuole fortemente ricondurci alla ricomposizione della nostra stessa frammentata vita, per osservarla in modi sempre nuovi e diversi, da punti di vista e angolazioni inusuali e sorprendenti. Land Art come riscoperta del mondo, come riappropriazione di una dimensione umana per questo nostro alienato vivere, per ricomporre la vita, e il paesaggio che la contiene, nella sua integrità e dignità attraverso atomi di colore e di luce che si propongono come la strada maestra da ripercorrere per raggiungere l’essenza della vita, attraverso l’eterno gioco dei sentimenti che albergano nella vera arte. E’ un gioco di rimandi, è la magia dell’arte: vedere e saper vedere, guardare e saper guardare, immaginare e proporre una nuova via dell’arte per un nuovo sguardo, per un nuovo modo di osservare e rispettare il mondo e la natura in cui siamo nati e in cui viviamo.

Gerardo Pecci