Sulle origini della Rocca e del centro storico

di Nicola di Dario

   

Antico diploma, redatto dal giudice Grimoaldo il 15 Maggio 1092, rinvenuto tra le carte cavansi, descrive la donazione effettuata alla Badia di Cava dai coniugi Gregorio (figlio del defunto Pandolfo, Signore di Capaccio e da Corleto, nipote del principe longobardo Guaimaro) e Maria (figlia del fu Erberto), dei diritti da essi vantati sulla chiesa di S: Nicola di Rocca d’Aspide costruita “quod aspri dicitur”. Il documento squarcia in parte le tenebre che avvolgono il nostro passato perché ci informa che al tempo della sua redazione la nostra comunità era già insediata sul territorio in una forma completamente organizzata. Infatti, da esso apprendiamo che nel 1092 la struttura urbana di Roccadaspide era già interamente definita nelle sue linee essenziali con la sua Chiesa, all’epoca dedicata a S: Nicola, edificata secondo la necessità di quel tempo- nel centro della cittadella, sorta in luogo inaccessibile (quod aspri dicitur) , a valle del poderoso ed imprendibile castello , miracolosamente conservato sino ad oggi, malgrado il susseguirsi dei terremoti e delle altre calamità naturali, degli eventi bellici e della lenta, ma inesorabile e progressiva azione devastatrice del tempo. Non sono state rinvenute altre fonti scritte anteriori a quelle appena citate, ma la ricerca archeologica effettuata nell’ultimo periodo nel territorio di Roccadaspide ha messo in luce le tracce di numerose e consistenti insediamenti umani quivi esistenti nel periodo Greco, lucano e romano, alcuni dei quali (Fonte e Tempalta) sono risultati addirittura anteriori al tempo della fondazione stessa della greca di Poseidonia. Intorno alla Rocca, intanto , edificata nei primi secoli del medioevo , sulla cima di un impervio sperone del Monte Vesole (che ha la forma di uno scudo disteso verso Nord Est nella Valle, a sinistradel medio corso del fiume Calore, venne via via formandosi il piccolo Borgo, sempre riconosciuto come università autonoma fino alla costituzione dei Comuni. Il territorio circostante, che ora forma il comune, (Ha 6.480)in gran parte collinare e montano, confina con quelli di Capaccio, Albanella, Castelcivita, Aquara, Castel San Lorenzo, Felitto, Monte forte Cilento e Trentinara facenti parte della Comunità Montana del Calore Salernitano. Esso ha di fronte a sé , a Nord, oltre la Valle, la catena montuosa degli Alburni e a Est il massiccio del Cervati; a Sud il Chianiello e ad Ovest il Monte Soprano . Verso Nord-Ovest l’orizzonte spazia in alcuni punti fini al mare dell’antico Golfo pestano. Oltre al capoluogo, il Comune comprende numerose contrade, (ciascuna dotate di piccoli insediamenti abitativi) nelle quali la popolazione residente attende ai lavori quotidiani , prevalentemente agricoli, con esempi di attività imprenditoriale nel settore commerciale e in quello silvo.pastorale e nell’agriturismo. Il clima dolce è tipico della media collina dove i rigori dell’inverno sono poco avvertiti mentre il refrigerio ambientale viene offerto durante la calura estiva. I boschi diffondono nell’aria il profumo del biancospino, del mirto, della ginestra, del giglio, della mentuccia e della rosa.

Musica Nel Borgo
 

     

 

Artigianato nel Borgo

 

     

 

Arte Nel Borgo

 

       

Introdurre un concetto sull’arte non è cosa semplice, infinite motivazioni contribuiscono a che non sia facile  sondare i meandri di quel qualcosa che nacque con l’uomo e, che in ogni uomo è latente sia esso portato a seguire la materialità o la spiritualità dell’esistenza. Sono gli avvenimenti, il caso e le particolarità individuali ciò che avvia l’individuo ad esprimersi attraverso le varie forme d’arte, a cercare l’essenza delle cose, senza dimenticare che è nel continuo divenire del creato  la forza capace di elaborare il pensiero umano e,  interagire in modo da  creare tanti momenti di vita capaci di fondersi in sintonia perfetta e rendere quel momento magico che si trasferisce nella comunicazione o nella  costruzione del  quotidiano. Non sempre si riesce a cogliere o  rendere il momento  dell’esistenza che si traduce negli  atti dell’esistere.  Presente in tutte le aree e in ogni tempo, il sentire che porta l’uomo a elaborare mentalmente momenti passati, futuri; a presentare il mondo della fantasia o della realtà, ad anticipare gli avvenimenti o a ritornare su di loro in una sorta di continuo andirivieni come continuo ritorno della vita che sembra ripetersi, ma che si  ripresenta rinnovata dai caratteri nuovi che l’epoca produce: l’esistere che pulsa e finirà solo con la fine di questo sistema di relazione tra il creato e il creatore.  Nel mondo del possibile ideale o comunque in una realtà dove non può mancare un’atmosfera di magia, ogni popolo ha presentato in maniera differente questa sua interiorità che va a considerare gli usi, la religione, il periodo storico, le commissioni, il mercato.  Un distinguo tra l’arte dei popoli occidentali che ha inserito l’arte in un vero e proprio filone soggetto alle mode vere o presunte, al mercato e alle commissioni, ai mercanti e ai critici del sistema  e, l’arte dei popoli orientali il cui tema principale è quello sacro e della religiosità popolare, non soggetta a interpretazione personali: solo piccole diversificazioni che scandiscono tempi diversi,  nulla che possa presentare l’individuo protagonista di una rappresentazione artistica che interpreta un suo pensiero.   Il confronto e lo scambio pongono l’accento sulle  diversità che la cultura di un popolo traduce nelle azioni del vivere e trasferisce nel suo operato.  A tale   proposito desidero riportare un avvenimento che fa intendere la  diversità tra culture. Alcuni anni fa, durante un viaggio in India fui invitata a presentare alcuni  miei lavori al New Friendship and Brotherhood Dialogue Society di New Delhi India. La manifestazione prevedeva la partecipazione di un artista arabo, e di alcuni artisti indiani, lo scambio, il dialogo e la discussione sulle differenze tra oriente e occidente nel campo artistico. La diversità, tra due culture. fu evidente nelle opere che furono presentate, ma ancora più marcata fu quando esposi al mio interprete il nostro concetto d’arte, quando parlai della libertà di espressione, di momenti cruciali della storia e di come, attraverso l’arte si interpretavano i fatti della storia e la denunzia degli avvenimenti. Vidi il volto del mio interlocutore sbiancarsi quando parlai di scomposizione della forma e di “Dada”, come massima espressione contro la guerra , di  sconvolgimenti nell’arte Europea manifestatisi all’inizio del diciannovesimo secolo. Avrebbe voluto, il mio interlocutore, non far veicolare la libera e personale interpretazione dell’artista europeo.  Questo lo capii quando il mio pensiero venne trasmesso in modo chiaro dal mio interprete e fu associato, anche, ad alcuni miei lavori presentati in quel contesto. Quando il mio discorso cadde sulla scomposizione della forma, legata anche a ribellioni politiche intellettuali presenti in Europa nelle fasi artistiche che vanno sotto il nome di Espressionismo, Cubismo, Futurismo, Dada, Astrattismo, le parole caddero nella più assoluta indifferenza: un  modo di pensare o lasciare intendere che nella loro esistenza  non rientra  questo tipo di vita. Fu la conferma che la possibilità di esprimere un proprio pensiero nell’arte come nella vita, da parte di alcuni popoli,  è annullata completamente per la dedizione completa all’idea di Dio.  Questo  “uomo” però è perfettamente integrato nella natura tanto da accettare in modo passivo gli eventi e accantonare la materialità, il benessere del corpo e dei suoi bisogni. Le espressioni segniche o alcune interpretazioni, che definiremmo astratte, informali,  sono  presenti in antiche rappresentazioni, ma non hanno assunto i fenomeni o un’aureola di genialità, forse c’è una diversa lettura delle cose ma certamente c’è una diverso modo di integrarsi con la natura. Liberi di tutti gli orpelli che condizionano e impongono all’uomo occidentale di emergere nell’individualità del suo essere,  vivono e interpretano l’arte in tutte le sue forme senza imposizioni se non quella di perpetrare all’infinito il Divino. La mia interpretazione sul concetto d’arte, partendo da un pensiero universale poi va a considerare i moduli interpretativi di due culture diverse, quella Occidentale e quella Orientale. Certamente questo non può essere esaustivo, occorre, per completare un pensiero sul “concetto d’arte”, aggiungere le diverse interpretazioni, i codici che hanno scandito tempi diversi; la cultura che ha dettato o suggerito dei canoni; gli innovatori che hanno rivoluzionato i moduli; i differenti caratteri e pensieri degli uomini che la interpretano; la differenza culturale e di pensiero di chi ne fruisce. L’Arte  si presenta in modo così vario per quanti sono i soggetti che la interpretano, per quanti sono i momenti in cui ci si esprime, per quante  sono le intenzioni e i fini che si vogliono raggiungere. Il bisogno di esprimersi passa attraverso le infinite personalità del creato, il suo linguaggio  si arricchisce di tutti i caratteri che all’individuo sono dati a possedere; dai fini” da raggiungere. Riconducendo il mio dire al  “Concetto sull’arte” che abbraccia il creato è lecito affermare che tutte le interpretazioni non prescindono da un comune sentire che è quello di tradurre la magia che unisce le creature al Creato. La ricerca e la lettura sull’arte ha appassionato, da sempre  scrittori, filosofi, scienziati, critici, poeti, ma non è ancora detta l’ultima e sempre, quando ci si appresta a tradurre un sentire, la mente vaga: anche se possiede i mezzi tecnici e la cultura appropriata, Ella va ricerca di quel qualcosa da afferrare e da rendere che raccolga e sintetizzi quel momento di vita.

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